da cura di Selene Di Genio
foto Alessandro Genovese
La prima volta non si scorda mai, dicevano. Ed è vero. Erano le 20:20 del 23 agosto di quest’anno, una serata calda, cielo terso, un tramonto limpido, attorno al nido tantissima gente che come noi volontari aspettava speranzosa, vegliando il nido.
D’improvviso la gente grida, corro al nido, e quando vedo quelle testoline nere uscire dalla sabbia capisco che di quel momento non ne avrei più fatto a meno. Sono di Ascea, laureanda in biologia marina, e ho deciso di aiutare i volontari dell’ Anton Dohrn a proteggere le “bimbe”, così le chiama Sandra Hochschei responsabile del Centro Ricerche Tartarughe Marine della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli.
Stiamo parlando delle Caretta caretta appena nate classificate come specie vulnerabile nella lista rossa della IUCN, aiutarle qui nel mio paese significa prendersi cura di quello che si ha, non aspettare che altri lo facciano per noi. Entro nel gruppo dei volontari il 14 agosto, i volontari non fanno parte del paese come me ma vengono da lontano, dormono in tenda e vigilano il nido giorno e notte 24h su 24, condizioni impegnative, di giorno sotto il sole e il caldo, spesso lontano dal paese e da un lido che possa assicurargli i servizi primari.
Conosco Alessandro, capellone pazzo, fotografo del gruppo, Francesca volontaria veterana dal 2013 che per proteggere le sue piccole sarebbe capace di tutto, Roberta volontaria già di Enpa, super devota alla salvaguardia degli animali, Fulvio il biologo marino e Sandra il capo di tutto. Altri volontari si susseguono durante i giorni, facciamo gruppo, turni, nottate insonni, ci diamo da fare. Cosa facciamo? Recintiamo il nido, lo proteggiamo, lo sorvegliamo e come farebbe una brava mamma lo vegliamo, facciamo turni giorno e notte, alternandoci nelle ore di sonno. Aspettiamo che qualcosa succeda, intanto sensibilizziamo le moltissime persone che si avvicinano con mille domande e curiosità, magari alcuni non sanno che mamma tartaruga dopo essersi accoppiata con più maschi depone più nidi nella stessa stagione, magari non sanno che può deporre dalle 40 a più di centro uova e 4000 nella sua vita, magari non sanno che soltanto una “bimba” su 1000 raggiunge l’ età riproduttiva perché predate già prima di entrare in acqua dai gabbiani o, una volta entrate in acqua, da pesci serra ecc.., ma anche a causa delle reti, della plastica gettata in mare che ingeriscono e ostruiscono il canale alimentare, magari non sanno che è una specie minacciata di estinzione. Il secondo nido di Ascea, ore 20:20 la gente sussulta, corre, si ammassa intorno alla recinzione che circonda il nido, due testoline fanno capolino tra la sabbia, sono immobili, si scorge qualche pinna, bellissime, perfette, immobili anche loro.
Non hanno fretta, si godono il momento della boccata d’ aria fresca dopo aver scalato almeno 30 cm di muro di sabbia quasi dieci volte la loro lunghezza, è come se noi scalassimo circa 14 metri di sabbia sopra di noi. Ma loro nascono così, già pronte per affrontare le sfide della vita. Si riposano, intanto altri nasini e pinne vengono fuori come dal nulla. A un certo punto si trovano lì tutte vicine a sembrare tanti sassolini neri, ecco che in un batter d’occhio se ne muove una e si muovono a catena tutte le altre, se prima sembravano sassi ora sembra assistere allo scoppiettio dei popcorn in padella, come aveva citato una volontaria.
In effetti ne dà proprio l’ idea, perché cominciano a dimenarsi per liberarsi dalla sabbia, altre da sotto che fino a quel momento non si vedevano, cominciano a comparire anche loro velocissime e in men che non si dica abbiamo il recinto pieno di tartarughine trepidanti di raggiungere il mare. Ma prima, circa il 30% delle nate, viene preso dai biologi marini per pesarlo, misurarlo, contare le placche del carapace e del piastrone per valutare se sono in salute, se siano nate con deformazioni. Eseguono un esperimento di velocità, in un tunnel preparato ad hoc, la piccola tartaruga si dirige il più in fretta possibile verso una luce bianca disposta alla fine del tunnel, così si misura il tempo di percorrenza.
L’altro esperimento consiste nel prendere il tempo in cui la piccola riesce a rigirarsi dopo essere stata messa col piastrone all’ insù, questo perchè durante il percorso verso il mare, molte, per via dei buchi e dossi nella sabbia che per loro sono davvero grandi, si ribaltano ma sono capaci di girarsi e proseguire. Tutte queste misure, velocità, temperatura di schiusa, consentono ai biologi di studiare e saperne di più sulla salute delle Caretta caretta appena nate e migliorare le azioni di conservazione di questa specie. Non solo, viene preso anche tramite carotatore un campione di sabbia della zona di spiaggia dove sono state deposte le uova per la sua caratterizzazione.
Finite le azioni preliminari è il momento per le bimbe di iniziare la loro “corsa verso il mare”. Come fanno le tartarughe ad orientarsi e trovare la strada del mare? Semplice! Percepiscono il mare come di un colore più chiaro rispetto alla spiaggia, perché illuminato dalla luna o le stelle, per cui per natura sono attratte dalla luce bianca come quella della luna che si infrange sul mare. Così, per evitare che luci antropiche le disorienti, noi volontari montiamo lungo la discesa a mare degli ombreggianti che non solo fanno ombra ma tengono a distanza di sicurezza le persone che arrivano ad assistere alla “corsa”. I volontari si dispongono lungo il tracciato , Francesca la più esperta tra di noi si posiziona sulla battigia con un faro rosso che all’ occorrenza, in caso di disorientamento gira a faro bianco per attirarle verso il mare.
Una volta in posizione il momento più bello arriva, le tartarughine vengono posizionate nel corridoio a circa dieci metri dal mare. Pronti, partenza, via!! Le piccole scattano verso il mare, pinnetta dopo pinnetta scavalcano fosse, dune, irregolarità del percorso, si ribaltano, si rigirano, qualche flash di cellulare (che ricordo è assolutamente vietato azionare per fare foto) le disorienta, perdono la strada cercando di ritornare indietro, altre recuperano il distacco. Alcune vanno avanti come un treno senza fermarsi, altre sfinite dalla fatica si fermano giusto un attimo per riprendere energie, poi scattano di nuovo in avanti.
La prima Caretta caretta che raggiunge l’ acqua suscita sempre un’emozione indescrivibile, seguita da un applauso delle persone presenti. È un momento magico. Comincia a nuotare e si allontana scomparendo dalla nostra vista. Minuto dopo minuto è il turno anche delle altre. Alcune fanno più fatica ma tutte con il nostro aiuto ce la fanno a raggiungere il mare che sarà casa loro per almeno 20 anni quando poi torneranno sulla terra per rigenerare la vita, ma solo per alcuni momenti. È il lasso di tempo in cui le vedi prendere il largo che ti assale un’emozione di appagamento indescrivibile, è il momento in cui tutta la stanchezza, l’insonnia, le ore passate a fissare la sabbia, hanno senso e sei la persona più felice della Terra. Ma il compito del volontario non è finito qui, si aspettano ancora due notti, senza che ci sia stata nessuna emersione da parte delle tartarughe, per aprire in fine il nido, per contare le uova, assicurarsi che nessuna tartaruga sia rimasta bloccata sotto la sabbia e per prendere campioni per analisi microbiologiche.
Eh sì perché a volte succede che qualche tartaruga non riesca a scalare il muro di sabbia sopra di lei, perché magari il suo passaggio viene ostruito dalle altre uova, da radici, o perché la sabbia a causa di qualche pioggia si compatta troppo, diventando impossibile da smuovere per loro che nonostante siano fortissime sono comunque piccoli esserini di circa 4 cm. Ed è anche qui che il compito del volontario diventa determinante.
È capitato che in un nido siano state trovate morte due tartarughine ma è anche capitato che ne siano state salvate tante altre che sfinite di energie sono state, con l’ aiuto della Capitaneria di Porto, portate a 4 miglia a largo, la strada che avrebbero dovuto percorrere in una notte, così da avvantaggiarle e darle una possibilità in più di sopravvivenza. È in questi momenti che ti rendi conto che stai facendo la cosa giusta, che sei utile, importante per la conservazione di questa specie, che stai aiutando degli animali a sopravvivere.
Noi volontari abbiamo incontrato tante persone: bambine che ogni mattina pulivano la spiaggia difronte il nido, a loro dico grazie perché ci danno la speranza di un futuro migliore e ci fanno capire che la sensibilizzazione sociale che facciamo sta funzionando; persone che adesso ci pensano due volte prima di buttare una cicca di sigaretta sulla spiaggia o la plastica nel mare; persone molto generose che ci portavano cibo e acqua per aiutarci; altre che si mettevano a disposizione per qualunque cosa. A tutti loro dico grazie. Fare il volontario può essere impegnativo ma consente di relazionarti con tante persone e ti regala emozioni uniche, per cui mi sento di consigliarlo a tutti almeno una volta nella vita. Un’altra volontaria dice: Come esiste il mal d’ Africa, esiste il mal di nido. È vero non puoi più farne a meno e la prima volta non si scorda mai!