a cura di Francesca Andreoli
Il mare della mia città è di mille colori, qua azzurro, là turchino, più in là violetto, un po’ verde chiaro, verde cupo, a volte anche giallastro.
E’ un mare vessato, quello della mia città.
A ogni onda sembra voglia gridare il suo sgomento, ma questa, fiera e veloce, finisce sempre con l’infrangersi a riva.
Quando si sta davanti a lui ci si incanta a guardarlo: gli occhi non si staccano, seguono le onde; si parte da quella più lontana, la si segue mentre si gonfia e proprio nell’istante in cui si sta per rompersi, gli occhi sono già posati sulla prossima.
Anche le burrasche sono belle. Il mare, come un padrone rabbioso che impone alla serva di fare una buona pulizia alla casa, rigetta a terra tutti i detriti che non gli piacciono: di questi, purtroppo, ce ne sono tanti.
E’ la vessazione del mare della mia città, che dovrebbe essere solo amato, curato e rispettato e invece viene solo tormentato, da chi crede che sia un diritto di cui abusare e non un privilegio da curare.
Tramonta il sole in un incendio di nuvoli e l’afa alita sulla spiaggia come una grossa ventola rovente; e il mare lambisce la riva bisunta e ogni spumeggiata emette suoni che pare bestemmi e implori aita.
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