Indice articolo
- 1 Il mare come ponte di cultura – Al MANN di Napoli, Thalassa le meraviglie del mondo sommerso dal 12 dicembre 2019 al 9 marzo 2020
- 1.1 Le sezioni della mostra
- 1.2 Tesori sommersi
- 1.3 I primi passi dell’archeologia subacquea
- 1.4 Relitti
- 1.5 Vita di bordo
- 1.6 Navigazione, mito e sacro
- 1.7 Il mare, via dei commerci
- 1.8 Il mare e le sue risorse
- 1.9 Bellezza ed otium
- 1.10 Acque profonde
- 1.11 Il focus sul porto antico di Napoli
- 1.12 “Thalassa”: una mostra che crea rete
- 1.13 Approfondisci l’argomento dalla fonte Ufficiale . Museo MAN clicca qui
Il mare come ponte di cultura – Al MANN di Napoli, Thalassa le meraviglie del mondo sommerso dal 12 dicembre 2019 al 9 marzo 2020
“Thalassa, meraviglie sommerse dal Mediterraneo”
Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dal 12 dicembre 2019 al 9 marzo 2020
400 reperti in mostra, 9 sezioni espositive, un focus sul porto antico di Napoli
Un racconto che fa squadra: pubblico e privato in rete per promuovere il Mare Nostrum
12 dicembre. Nel Salone della Meridiana, il viaggio inizia attraverso un portale, che spinge il visitatore a varcare quasi le colonne d’Ercole, per scoprire la magia della grande mostra “Thalassa, meraviglie sommerse dal Mediterraneo” (Museo Archeologico Nazionale di Napoli, 12 dicembre 2019- 9 marzo 2020).
L’esposizione, che rappresenta una vera e propria summa di quanto svelato dalla disciplina dell’archeologia subacquea dal 1950 sino ad oggi, raccoglie circa quattrocento reperti, provenienti da prestigiose istituzioni italiane ed internazionali.Centro simbolico dell’exhibitè l’Atlante Farnese, capolavoro marmoreo databile al II sec. d.C.: il percorso di visita, infatti, con particolarissimi artifici allestitivi e giochi di luce, segue le costellazioni rappresentate nella parte superiore della scultura, assecondando, in una suggestiva rotta artistica tra passato e presente, il modus dei naviganti antichi che orientavano il proprio viaggio seguendo il cielo.Filo conduttore di questo originale itinerario è la scoperta del Mediterraneo che, sin dalle radici storiche più remote delle civiltà occidentali, era interpretato (e vissuto) secondo diverse accezioni: cultura, economia, società, religiosità, natura e paesaggio sono termini legati, da sempre, al Mare Nostrum.
Così il tema dell’interconnessione (di dimensioni temporali, discipline, contenuti scientifici e linguaggi della comunicazione) ha caratterizzato il progetto espositivo di “Thalassa”, sin dalla sua genesi: la mostra è nata, infatti, nel più ampio framework di collaborazione tra il MANN e l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana; questa sinergia è stata resa possibile grazie all’impegno del prof. Sebastiano Tusa, archeologo di fama internazionale, scomparso tragicamente nella sciagura aerea di marzo 2019.“Teichos. Servizi e tecnologie per l’archeologia” ha elaborato il progetto scientifico dell’esposizione, curata da Paolo Giulierini, Sebastiano Tusa, Salvatore Agizza, Luigi Fozzati e Valeria Li Vigni.L’exhibit è stato promosso anche in rete con il Parco Archeologico di Paestum, sede della mostra “gemella” “Poseidonia. Città d’acqua” su archeologia e cambiamenti climatici, e con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, che ospita il percorso espositivo su “I pionieri dell’archeologia subacquea nell’area flegrea e in Sicilia”.
Thalassa non è solo una mostra sul Mediterraneo antico ma è, soprattutto, un esempio di metodo. Al centro del nostro lavoro ci sono la ricerca scientifica, il sostegno tra enti statali e territoriali, l’apporto delle Università, le professionalità dei giovani archeologi, le azioni innovative di aziende tecnologiche private. Thalassa disegna, nel complesso, rotte culturali tra tanti siti campani, del Meridione e di altri paesi mediterranei. Si tratta di una connessione storica che però deve rafforzare l’idea che il Mare Nostrum sia un ponte e non una separazione. Tutti noi abbiamo un compito da svolgere: ripescare la pagella che si era portato dietro il bambino tragicamente annegato qualche mese fa. Questa pagella, in realtà, non lo riguarda: riguarda noi. Siamo noi sotto esame, ora: non avremo altre occasioni per dimostrare che anche la cultura può far crescere le persone, attraverso una ricerca che ci porti ad una maturazione non solo contenutistica ma etica”, commenta il Direttore del MANN, Paolo Giulierini.
Le sezioni della mostra
Dopo una grande mappa in 3D, che ripropone, con le nuove tecnologie, le meraviglie dei fondali del Mediterraneo, sono nove le sezioni in cui si articola la mostra: 1) Tesori sommersi; 2) I primi passi dell’Archeologia subacquea; 3) Relitti; 4) Vita di bordo; 5) Navigazione, mito e sacro; 6) Il mare, via dei commerci; 7) Il mare e le sue risorse; 8) Bellezza ed otium; 9) Acque profonde.Completa il percorso, nella Stazione Neapolis del MANN, un focus di approfondimento sul porto antico di Napoli, svelato durante gli scavi della metropolitana in Piazza Municipio.
“In -Thalassa- Il Mediterraneo è il tema unificante, raccontato dalla sua nascita, datata a 60 milioni di fa. La prospettiva è nuova: il Mar Mediterraneo è studiato dal mare verso la costa e non dalla costa verso il mare. Il racconto parte dai primi straordinari reperti che il mare ha casualmente restituito alla comunità, innescando quel processo di sensibilizzazione che porterà alla costituzione della disciplina dell’archeologia subacquea, evolutasi fino alle più recenti conquiste tecnologiche della ricerca. Napoli e la Campania, l’intera isola della Sicilia e tutto il Meridione hanno svolto in epoca contemporanea un ruolo di primo piano nella fondazione dell’archeologia subacquea in Italia: la storia sommersa nelle acque del Mediterraneo ha prima restituito reperti meravigliosi, quindi ha posto agli archeologi i quesiti fondamentali della ricerca”, afferma Salvatore Agizza (Teichos. Servizi e Tecnologie per l’Archeologia”), che è nel team dei curatori della mostra.
Tesori sommersi
Ad inizio mostra, il visitatore è accolto da una selezione di sei opere che, per pregio artistico e raffinatezza di esecuzione, sono considerate emblematiche dei più importanti ritrovamenti subacquei avvenuti nel Mediterraneo.Il fascino di questi capolavori è enfatizzato dalla dinamica del tutto casuale e fortuita delle scoperte (i reperti sono stati rivenuti, ad esempio, in occasione di dragaggi in un porto, nelle reti di un peschereccio, a seguito di un saccheggio).
Tra le opere in mostra, la Testa di Amazzone, copia romana di un originale greco, proveniente dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei ed, in particolare, dalla collezione del Castello di Baia; la Testa bronzea del Filosofo di Porticello (V sec. a.C.), ritrovata nell’omonimo relitto ed appartenente al Museo Archeologico di Reggio Calabria; il “Tesoretto di Rimigliano”, che comprende monete di argento di età romana imperiale, oggi conservate al Museo Archeologico del territorio di Populonia a Piombino; il “Rilievo di Eracle e Anteo”(II sec. a.C., oggi conservato al Castello Ursino di Catania); il “Reshef” di Selinunte (Museo Salinas di Palermo), eccezionale statuina bronzea (realizzata presumibilmente tra XIV e XII sec. a.C.), con ogni probabilità dedicata ad una divinità; il controrostro di una nave romana, trovato nel porto di Genova a fine Cinquecento (Musei Reali di Torino).
I primi passi dell’archeologia subacquea
La sezione comprende una parte didattica, arricchita da pannelli, filmati e fotografie, che testimoniano, dagli anni Cinquanta del Novecento sino ad oggi, nascita e sviluppo di una disciplina, nel cui ambito i termini di scienza, intuizione e tecnologia si sono intrecciati in modo sempre più stretto: accanto al materiale documentario, sono in mostra oltre sessanta opere, che attestano i primi recuperi avvenuti nelle acque del Tirreno.Visibili, dunque, i reperti del relitto di Albenga, tra cui figura uno dei sette elmi bronzei trovati da Nino Lamboglia, così come un’anfora del I sec. a. C.; le lucerne di età imperiale e l’altare nabateo di Pozzuoli (I sec. a C.); i rilievi dal porto di Baia appartenenti ad una grande villa con ninfeo di età severiana; le opere tratte dal relitto di Porticello, frutto di una campagna sistematica di rilevamento e scavo; dal Parco Archeologico di Paestum, la testa in bronzo di Foce Sele (I sec. a.C./I sec. d.C.), che apparteneva ad una statua a grandezza naturale e fu recuperata dal Centro Studi Subacquei Napoli probabilmente nel fiume Sele, nei pressi del Santuario di Hera.Evidente il trait d’union con l’esposizione “I pionieri dell’archeologia subacquea nell’area flegrea e in Sicilia” che, promossa e realizzata da “Teichos” presso il Parco Archeologico dei Campi Flegrei (Castello di Baia): la mostra, sino al prossimo 9 marzo, racconta il lavoro degli studiosi che, in particolare nel Sud Italia, si sono dedicati alla scoperta delle meraviglie del Mediterraneo.
Relitti
L’analisi dei carichi delle imbarcazioni affondate in epoca antica è stata il punto di partenza non soltanto per promuovere le ricerche di archeologia subacquea, ma soprattutto per studiare cultura, storia ed economia del Mediterraneo: in “Thalassa”, è possibile ammirare dei veri e propri capolavori che, grazie alle esplorazioni, sono stati dischiusi dagli abissi.Eccezionale la presenza, in mostra, di trenta reperti provenienti dal Museo Archeologico di Atene ed, in particolare, dal relitto di Antikythera, prima imbarcazione rinvenuta ad inizio Novecento nel Mediterraneo: tra questi, spiccano raffinati gioielli in oro, pregiate coppe di vetro, parti di statue bronzee ed oggetti della vita di bordo (i reperti risalgono al I sec. a.C.); nel percorso di visita, presente anche una ricostruzione in 3D del calcolatore astronomico recuperato nella nave.Dal relitto ritrovato nel 1990 a largo di Punta Licosa provengono, infine, anfore vinarie ed attrezzature di bordo, tra cui la pompa di sentina, che era un sistema per portare l’acqua via dall’imbarcazione.Peculiare, all’interno della sezione, l’installazione in plexiglass, che, grazie ad alcune proiezioni, mostra le diverse fasi del naufragio di un’antica imbarcazione sino al momento della deposizione sul fondo marino (da qui si forma il relitto).
Vita di bordo
Elementi di prua, chiodi, scandagli, oggetti personali: sono questi (e non solo) i reperti che svelano la dimensione quotidiana dei naviganti antichi.Tra le circa cinquanta opere della sezione, figurano: alcuni pezzi di pregio provenienti dal Parco Archeologico di Ercolano,in particolare dall’area degli scavi nuovi della Villa dei Papiri e dell’antica spiaggia (un timone, un fasciame con corde arrotolate e cuoio su cui si distinguono punti di cucitura, ami da pesca, pesi da rete in piombo, galleggianti); flaconcini in legno di bosso per collirio (II sec. a.C.), ritrovati in Toscana, nel relitto del Pozzino; un grande bacile (III sec. a.C.), recuperato sul relitto di Panarea III ad una profondità tra i 70 ed i 150 metri, utilizzato per i riti propiziatori durante la navigazione; un frammento di ingranaggio (scavi di Olbia), risalente al I sec. a.C. ed in ogni caso verosimilmente molto più antico del calcolatore di Antikythera.
Venti reperti per raccontare quanto leggenda e religiosità siano legate al mondo del mare: tra i capolavori in mostra, il famoso “Cratere con Naufragio” (VIII sec. a.C.) del Museo di Villa Arbusto a Lacco Ameno.Spiccano i manufatti provenienti dall’isola di Vivara, dove gli scavi terrestri e subacquei (condotti dall’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa con la collaborazione del Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea del Mibact e la supervisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Napoli) hanno restituito le tracce di un insediamento dell’età del bronzo: tra questi reperti, figurano una giara cananea (XVI/XV sec. a.C.), che attesta rapporti con l’Oriente, un applique d’oro ed una tavoletta in osso iscritta (XVII/XV sec. a.C.), un’ancora dell’età del Bronzo. Da Lipari, proviene il carico di oggetti in ceramica, appartenenti al relitto di Pignataro di Fuori, probabilmente il più antico mai studiato e databile al XX sec. a.C.
Il mare, via dei commerci
Il mare, nell’antichità, era la sconfinata distesa d’acqua che veniva solcata da costa a costa o con traversate più lunghe per stabilire e rinforzare relazioni economiche: a questa dimensione è legata la presenza, nel percorso di visita, di circa quaranta reperti, tra cui utensili per la preparazione e conservazione del cibo, anfore per il trasporto di olio, vino e garum, così come di lingotti di piombo che, dalla penisola iberica, raggiungevano Roma, testimoniando la ricchezza dei più importanti mercati delle province romane; eccezionale l’esposizione di lingotti in oricalco, prezioso materiale citato da Platone nei racconti su Atlantide.Testimonia ancora, una suggestiva prassi di contaminazione culturale la statuetta della dea Lakshmi in avorio proveniente da Pompei.
Il mare e le sue risorse
Nella sezione, sono presentati circa trenta reperti, che raccontano quanto il mare fosse una fonte di sostentamento necessario per le antiche popolazioni del Mediterraneo.In esposizione, strumenti provenienti da Pompei, Ercolano e dalle acque di Pantelleria, utilizzati per pesca di cetacei, tonno e corallo; su un’anfora, ritrovata ad Olbia, sono leggibili addirittura resti di pesce.
Bellezza ed otium
In “Thalassa”, il Mare Nostrum è anche raccontato attraverso i luoghi dell’otium, grazie alle sculture ritrovate sui fondali della Grotta Azzurra, ninfeo di età romana, così come ai raffinati affreschi da Pompei, Ercolano e Stabiae: nell’antichità, il paesaggio costiero non era soltanto armonizzato con le strutture architettoniche residenziali e della villeggiatura, ma era anche fonte di ispirazione ricreata dall’apparato decorativo all’interno delle più prestigiose domus antiche.Tra i circa quaranta reperti esposti, anche pendenti, gemme e le famose coppe egittizzanti di ossidiana (età augustea), appartenenti alla collezione del MANN.
Acque profonde
La mostra “Thalassa. Meraviglie sommerse dal Mediterraneo” si conclude con una camera immersiva: al visitatore, grazie alle nuove tecnologie, è offerta la suggestiva possibilità di immergersi con gli archeologi e gli esperti dediti agli scavi subacquei.Spettacolari filmati girati ad oltre 600 metri di profondità permettono di ammirare i relitti, ritrovati nei luoghi simbolo del Mediterraneo (da Capri a Capo Palinuro, dalla Liguria alla Sardegna).
Il focus sul porto antico di Napoli
Nella sala “Stazione Neapolis” del MANN sono esposti reperti che ricostruiscono storia e caratteristiche del porto antico di Napoli, partendo dalla prima fase di scavi della metropolitana di Piazza Municipio, agli inizi degli anni Duemila, e giungendo sino agli ultimi ritrovamenti, tra 2014 e 2015.Per gentile concessione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, sono visibili al MANN, per la prima volta in occasione della mostra “Thalassa”, tre importanti e singolari reperti lignei: una splendida ancora di oltre due metri e mezzo (databile alla fine del II sec. a.C.), un remo ed un albero (età imperiale), residui delle imbarcazioni che attraccavano nell’antico porto cittadino.Tali opere sono presentate al pubblico a seguito di un intervento conservativo realizzato dall’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro.
“Thalassa”: una mostra che crea rete
Il messaggio di tutela e valorizzazione del Mare nostrum, alla base del progetto scientifico di “Thalassa”, ha determinato la creazione di una rete sinergica tra soggetti pubblici e privati, che hanno cooperato, a differenti livelli, alla realizzazione della mostra.