di Giuseppe Volpe
In principio furono le terme…, nel senso che gli stabilimenti balneari che qui vogliamo trattare altri non erano che delle strutture poste presso località termali. Solo verso la metà dell’Ottocento iniziarono a svilupparsi i veri e propri stabilimenti balneari come oggi noi li conosciamo. A volte abbiamo l’impressione che siano sempre esistiti, ma non è così. Anzi, se andiamo a spulciare nel passato, a scovare nella soffitta della nostra memoria collettiva, troviamo situazioni da farci arrossire, come quella della creazione della “rotonda a mare”, struttura posta direttamente in acqua, dove le pudiche signore di una volta vi erano condotte da cabine munite di ruote, in modo tale da farle scendere direttamente in acqua, lontane da occhi indiscreti…
Sembra preistoria, al confronto con i nostri tempi, veloci e spregiudicati. Ma, a proposito, cosa sono oggi gli stabilimenti balneari e… qual è il loro stato di salute? Gli stabilimenti balneari sono delle vere e proprie imprese che hanno in concessione delle spiagge. Essi forniscono alla loro clientela svariati servizi che nel tempo di sono diversificati per andare sempre più incontro alle richieste, passando dalle semplici cabine, agli ombrelloni e alle sdraio, ai sofisticati lettini con parasole, e via discorrendo. Ovviamente, il tutto dietro compenso, a volte anche sostanzioso; tanto da indurre il popolo dei bagnati ad eccepire che si tratta pur sempre di demanio, quindi di territorio pubblico e, in quanto tale, sottoposto per forzature a piegarsi agli interessi dei privati. Spinosa ed annosa questione: se sia giusto affidare un bene comune a dei singoli, pur generando lavoro, oppure sancire una sorta di sacralità delle spiagge, patrimonio comune e nazionale.
Fatto sta che l’Unione Europea si è interessata anche di questa faccenda, com’è nelle sue prerogative, ed ha emanato un provvedimento, Direttiva Bolkenstein 2006, con l’intenzione di mettervi ordine. In essa direttiva si fa’ esplicito riferimento, per quanto attiene l’Italia, ai 30.000 gestori “fuorilegge”, perché a suo tempo fu già bocciata l’automatica autorizzazione per l’esercizio delle attività a fini turistico-ricreativi, sancendo l’obbligo della procedura di selezione pubblica, con conseguente revisione del riordino della materia in conformità ai principi comunitari.
In pratica, gli stabilimenti balneari hanno tempo fino al 2020 per usufruire di una certa tutela, a fronte degli investimenti operati negli anni precedenti. Infatti, tra i principi fissati nella delega per le autorizzazioni esistenti in attesa dell’applicazione delle nuove regole di assegnazione, c’è il riconoscimento del valore commerciale dell’impresa che dev’essere comunque tutelato; anche se detta tutela deve basarsi sui valori fissati dall’Osservatorio del mercato immobiliare, che di volta in volta, a seconda della zona di riferimento, ne stabilirà la valutazione ufficiale.
Ancora tre anni, quindi, e ne sapremo di più. Aspettiamo fiduciosi che non si possa ancora dire, come spesso succede in Italia per casi analoghi, “piove sul bagnato”, perché abbiamo più volte sperimentato sulla nostra pelle che “fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”….