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L’Inquinamento marino a cura di Martina Di Vincenzo

da Davide De Stefano
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Ciao a tutti! Continuiamo il discorso sul nuovo progetto cercando di capire bene cos’è l’inquinamento e cosa vogliamo cercare nelle nostre indagini.
Secondo la definizione ufficiale dell’ONU si intende per inquinamento marino l’immissione in mare diretta o indiretta di sostanze e di energie che producono effetti negativi sulla qualità delle acque, sulla salute umana e sulle risorse biologiche.
In base al loro comportamento nell’acqua si posso distinguere quattro categorie principali di rifiuti: biodegradabili, non conservativi, conservativi e particellati.

I rifiuti biodegradabili provengono dagli scarichi urbani e di particolari industrie (cartiere, zuccherifici, mangimifici), da terreni coltivati attraverso le acque di drenaggio e infine dalle perdite di petrolio. Il processo di mineralizzazione è operato dai batteri in presenza di ossigeno. La carenza di ossigeno nel corpo ricevente comporta invece l’entrata in funzione di batteri anaerobi che producono metano, acido solfidrico ecc., con conseguente degradazione dell’area interessata. Vengono definiti rifiuti non conservativi quelle sostanze , di solito di origine industriale, che perdono rapidamente le loro proprietà una volta che raggiungono le acque e pertanto la loro azione si limita all’area di scarico con un grado di dispersione in rapporto alla quantità immessa. Si tratta di sostanze acide o alcaline (basiche) che vengono facilmente neutralizzate dato il potere tampone dell’acqua di mare. Esempi di questi rifiuti sono ad esempio i cianuri utilizzati in metallurgia, che hanno effetto devastante sui microrganismi, ma si idrolizzano velocemente; le acque utilizzate dalle centrali elettriche per il raffreddamento dei circuiti, che vengono scaricate a temperature anche di 10° C superiori a quella del mare, ma che comunque si disperdono in poco tempo. I rifiuti conservativi sono invece costituiti dai metalli pesanti e dai composti organo-alogenati che permangono nelle acque senza subire degradazione e tendono a concentrarsi negli organismi attraverso le catene alimentari. Il bioaccumulo ha come conseguenza una sempre maggiore concentrazione dell’inquinante lungo la catena alimentare per cui i predatori che si inseriscono ai vari livelli della piramide tendono anch’essi ad accumulare sostanze tossiche in quantità sempre maggiori quanto più alto è il livello che essi occupano. Per rifiuti particellati, infine, si intendono i materiali inerti di grandezza variabile delle più diverse provenienze. Questi materiali possono modificare il substrato, impedire la fotosintesi e danneggiare apparati respiratori e filtratori degli animali.
É importante evidenziare che molte alterazioni possono essere del tutto naturali, indipendentemente dall’azione dell’uomo (ad esempio aumento delle temperature e della concentrazione dei metalli in prossimità di attività vulcaniche, diminuzione dell’ossigeno in certe aree in seguito a fenomeni climatici particolari ecc.).
Molti organismi si rivelano di grande aiuto per rilevare la presenza di inquinanti nelle acque. Essi sono definiti indicatori biologici e possono essere utilizzati, a seconda delle loro peculiari risposte, a scopi diversi riconducibili a due categorie principali: il rilevamenti dell’inquinamento direttamente nell’ambiente e la valutazione degli effetti sia in natura che in laboratorio. Ad esempio la presenza di

Escherichia coli nelle acque serve a rilevare, in base al numero di individui contenuto in un centimetro cubo, il grado di intensità di inquinamento di tipo cloacale. Uno specifico inquinamento dovuto a metalli pesanti può essere rilevato e quantificato utilizzando i molluschi bivalvi che filtrano i planctonti contaminati e quindi concentrano nei loro tessuti notevoli quantità di questi microelementi, oppure utilizzando alghe che li assimilano direttamente dall’acqua attraverso il tallo. I danni provocati dall’inquinamento possono essere valutati in varia maniera: la modifica di una comunità con la scomparsa o la rarefazione delle specie originarie e la comparsa di specie opportuniste, indica una perturbazione la cui natura e intensità può essere valutata sulla base delle modifiche che sono avvenute nella comunità stessa. Dove è minima l’alterazione può verificarsi un aumento della biodiversità e della biomassa a causa di una maggiore variabilità ambientale che può favorire lo sviluppo di certe specie. Il picco della biomassa che si verifica in vicinanza della sorgente inquinante è dovuto alla presenza di opportunisti. Anche le alterazioni morfologiche, il rallentamento dell’accrescimento, l’arresto o l’alterazione dei meccanismi riproduttivi a carico dei singoli organismi sono importanti effetti dovuti a determinati tipi di inquinamento.
La settimana prossima vi spiegherò nel dettaglio la differenza tra specie a strategia – K e specie a strategia – r (opportuniste o pioniere) e inizieremo a vedere in dettaglio i gli effetti che i vari tipi di inquinamento posso avere sulla comunità bentonica.

A cura di Martina Di Vincenzo

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