Forse non tutti sanno che le barriere artificiali non sono soltanto quei massi di cemento precostituiti per proteggere le spiagge dai flutti del mare quando si fanno impetuosi. Esse sono soprattutto quelle iniziative mirate alla salvaguardia della flora e della fauna marina, nonché il tentativo di limitare i danni di una pesca altrimenti incontrollata, come ad esempio quella denominata “a strascico”.
L’elemento iniziale che ha spinto l’uomo alla realizzazione delle barriere artificiali è l’acquisizione scientifica della formazione e lo sviluppo della vita in fondo al mare. E’ stato infatti da molto tempo dimostrato che i pesci e i macroinvertebrati utili all’uomo frequentino di preferenza substrati duri, a tal punto che è in questi, rispetto a quelli fangosi, che si rinviene una maggiore biomassa. Si è osservato, ad esempio, che i pesci preferiscono i substrati duri per stare vicino ad un oggetto solido, riuscendo anche ad innescare una sorta di catena alimentare e facendo aumentare le forme di vita. Però attenzione, non basta creare un habitat per i pesci, se non si creano le condizioni atte a determinare un certo numero di anelli della catena alimentare, nell’ambito della stessa barriera. In pratica è necessario predisporre un substrato duro, che abbia molti interstizi, che possa cioè offrire possibilità di insediamenti a piccoli invertebrati ed altri esseri viventi, prede di pesci carnivori di consistente rilevanza economica. Proprio per questo, non è sufficiente calare in mare del semplice pietrisco, per attivare una catena alimentare, come ci hanno insegnato i giapponesi, veri e propri maestri in questo “campo”.
I giapponesi hanno escogitato due di barriere: uno, chiamato “tsukiiso”, costituito da due blocchi di calcestruzzo variamente forati su cui si sviluppano alghe, spugne ed invertebrati vari; un altro, detto “gysho”, costituito da giungo, cavi, vecchi battelli ormai in disuso riempiti di ciarpame, di oggetti solidi e semisolidi, insieme a parti di calcestruzzo. Mettendo insieme questi blocchi i quali presentano fori e cavità, piani inclinati, superfici disomogenee, eccetera, ripropongono in tutte le sue forme possibili le formazioni e gli anfratti tipici dei substrati duri del mare. E’ una preparazione solo in apparenza caotica, perché in effetti per realizzarla sono stati impiegati numerosi studi e ricerche, non esenti da accurate sperimentazioni.
E’ pertanto evidente che l’esperienza delle barriere artificiali risulta essere un’ottima e pratica occasione di studio avente una problematica oltremodo interessante, relativa ai fenomeni di competizione fra specie ecologicamente affini, ai fenomeni di predazione e alla diversa capacità d’insediamento di alcune specie secondo parametri spiccatamente ambientali.
Via libera dunque e ben vengano le barriere artificiali, palesi dimostrazioni dei rimorsi dell’uomo, che ha fatto molto male al mare e a sé stesso, e che adesso tenta di provi riparo.
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