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L’acquacoltura dei signori Orata e Murena di Baia

da Davide De Stefano
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– a cura di Giuseppe Volpe

E’ noto a tutti che l’uomo ha fondato i suoi primi insediamenti umani intorno alle acque, salate o dolci. E’ noto anche che l’agricoltura lo ha trasformato da nomade a sedentario, determinandone per così dire il destino urbano, sociale ed economico. E l’acquacoltura? Com’è che l’evoluzione sociale dell’uomo non ha tenuto conto dell’acquacoltura? Probabilmente, anzi sicuramente, la risposta risiede nel… “prodotto specifico del settore di riferimento”: la pianta è statica, il pesce è mobile…

Eppure, ci sono riscontri storici circa l’allevamento di pescicoltura già nell’antico Egitto, per non parlare dei romani, che avevano come sappiamo un vero e proprio culto dell’acqua e che quindi trovarono in alcuni casi, limitati all’altissima aristocrazia, l’occasione di allevare pesci. In Campania, più esattamente a Baia, due famiglie acquisirono un prestigioso “prenome”. Accadde che due intraprendenti mercanti intuirono le possibilità commerciali dell’acquacoltura, sull’esempio anche di qualche imperatore che si fregiava di avere una coltura di pesci personale con la quale deliziava i suoi invitati con sontuosi banchetti, e favoriti anche dalla conoscenza e dalla “fertilità” del mare di Baia, si diedero all’allevamento di orate e di murene. Divennero famosi a tal punto che assunsero uno specifico “prenomen”, allora segno distintivo e caratteristico romano costituente la “gens”, chiamandosi da quell’epoca Sergio Orata e Licinio Murena. Poi, come attesta Cassiodoro, tale pratica  si diffuse particolarmente nell’alto Adriatico; ma, come spesso è capitato…, l’inizio del tutto è stato nei… “fondali Campania”!

Per quanto attiene invece l’impiego dell’acquacoltura come attività commerciale derivante da una seria preparazione scientifica, è solo verso la metà del 1700 che la si conseguì, per merito di Sthepan Ludwig Jacobi, che ottenne la fecondazione artificiale delle trote e lo sviluppo delle loro uova fecondate. E’ quindi recente, molto recente, l’acquacoltura come attività caratteristica del genere umano. Ma che cos’è, in concreto, l’acquacoltura?

L’acquacoltura è la coltivazione di pesci, crostacei e molluschi in aree controllate dall’uomo. Dette aree sono di diversa struttura, a seconda del tipo di allevamento (acqua salata o dolce) e sono solite essere distinte in peschiere, vivai o valli da pesca. Tra i prodotti maggiormente diffusi dell’acquacoltura si annoverano il salmone, la trota, la spigola, l’orata, la carpa, eccetera.

In realtà, l’acquacoltura è diventata, con il passare degli anni e dell’incremento della richiesta alimentare nel mondo, una pratica sempre più massicciamente richiesta, in grado di fronteggiare, sia pure ancora parzialmente, quella che con una certa enfasi, ma non del tutto esagerata, viene chiamata “fame nel mondo”.

Poi, c’è da dire che il tema della sicurezza e della qualità dei prodotti alimentari, compresi quelli del mare, cioè sapere cosa arriva veramente sulle nostre tavole, rappresenta un tema caldo nell’interesse dei cittadini e dei consumatori, per cui le associazioni esistenti per la salvaguardia dell’ambiente e delle certificazioni alimentari, giustamente, sono molto attive sotto l’aspetto del controllo della salute pubblica.

Comunque il settore, già abbastanza consistente, è in via di rapida crescita. In Italia si contano (dati aggiornati al 2013) ben 820 imprese che annoverano oltre 7.000 occupati, con in testa le regioni dell’Emilia Romagna e del Veneto, che rappresentano circa il 50% della produzione nazionale.

E la Campania? A fronte di un numero di 35 impianti e di quasi 200 occupati, si attesta in una percentuale assai bassa che supera di poco il 3%. Ma bisogna aggiungere che la regione Campania non ha una vera e propria legge specifica sulla promozione e lo sviluppo dell’acquacoltura. Essa si rifà alla legge relativa al programma agricolo (L. R. 2 agosto 1982, n. 42) nella quale sono previste iniziative “finanziabili” nel comparto dell’agricoltura.

Forse, bisognerebbe spingere verso una legislazione speciale, che restituisca (se l’ha mai avuta…) “dignità” ad un settore esclusivo e caratteristico che, per svilupparsi e contribuire alla crescita sociale,  necessita di specifici supporti ed investimenti.

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