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Il Vervece di Massa Lubrense – A cura di Anna Cozzolino

da Davide De Stefano
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Il Vervece (dal latino Vervex = caprone) è un piccolo scoglio sormontato da un faro a meno di miglio dal porto di Marina della Lobra.
Dalla superficie al fondo, esso, racchiude tutto il fascino dell’immersione nel Mediterraneo. Appena sotto il pelo dell’acqua, le pareti sembrano giardini fioriti ricoperti da Parazoanthus (la cosiddetta margherita di mare).
Rosse stelle marine si adagiano sulle gialle colonie mentre centinaia di pesciolini dalle livree multicolori volteggiano intorno ai sub.
Il Vervece è anche un luogo di culto. Ai suoi piedi, a circa undici metri di profondità, si trova infatti la statua della Madonna protettrice dei subacquei.
Questo grosso scoglio, quasi un isolotto, ha causato, secondo una storia tradizionale, un appiattimento ed ingrossamento del fondo schiena delle donne massesi. Queste infatti, volendo tirarlo a riva temendo che i Sorrentini volessero rubarglielo subirono questo danno irreparabile a seguito della rottura della fune intrecciata a tale scopo.
Il Vervece entra anche in un altra storia, riportata anche dal Canzano Avarna, della quale sono protagonisti due pittori: Carlo Amalfi, nativo di Piano di Sorrento, allievo di Sebastiano Conca detto il Gaetano, e il suo falso amico tale Luigi Blower. Per quanto era buono, bravo, leale e generoso Carlo, tanto era invidioso, falso, subdolo e malvagio Luigi. Quest’ultimo, dopo averne combinate di tutti i colori al povero Carlo, specialmente nel campo professionale, giunse perfino a farlo incarcerare per un anno avvalendosi delle sue amicizie a Corte. Ma questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, e così Carlo durante il suo soggiorno forzato ebbe modo di rendersi conto della cattiveria del falso amico e meditò la vendetta. Scontata la pena, tornò a Sorrento e quando incontrò Luigi, che si mostrò ovviamente dispiaciuto delle disgrazie dell’altro e assolutamente estraneo al fatto, fece buon viso a cattivo gioco, in attesa del momento propizio per punirlo.
E il giorno giusto arrivò. Carlo, abile marinaio, invitò Luigi, che non sapeva neanche nuotare, a fare un giro in barca a vela, essendosi accorto che stava per avvicinarsi una burrasca. Allontanatisi dalla riva, fecero rotta verso Massa e quando arrivarono nelle vicinanze del Vervece erano in piena tempesta. Carlo si divertiva a manovrare fra le onde, mentre Luigi era in lacrime e supplicava l’amico farlo sbarcare da qualche parte. Fu subito accontentato da Carlo il quale accostò al Vervece dal lato a ridosso del forte vento di tramontana, lo fece salire sullo scoglio e poi se ne andò gridandogli che era giunto il momento di meditare su tutto il male che fino a quel momento gli aveva fatto. Carlo aveva inteso solo spaventare Luigi, e quindi rimase di sasso quando, andato al Vervece il mattino seguente per recuperarlo, non lo trovò, né ne ebbe notizia in nessuna marina della penisola. L’Amalfi passò il resto della sua vita col rimorso di aver causato la morte di Luigi e i suoi sogni era turbati da visioni di tempeste e naufragi.
Mentre si trovava a Nocera per eseguire dei lavori, sentì che la sua ora stava per arrivare e fece chiamare un frate dal vicino convento dei Cappuccini. Fu così che dopo aver confessato il suo presunto delitto, che lo aveva angustiato per tanti anni, ebbe la sorpresa di scoprire che il frate era proprio Luigi Blower. Questi era stato preso a bordo da una barca di procidani ed evidentemente la lezione gli era bastata, poiché aveva deciso da allora di passare il resto dei suoi giorni in un convento per espiare i suoi peccati. E quindi Carlo Amalfi poté morire contento e sollevato dal tormento che lo aveva afflitto fino ad allora.

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