12 morti all’anno contro 8 dovute ad un attacco di squalo, cosi sembra almeno secondo un report (attendibile?) pubblicato in questi giorni su Mashable. Effettivamente la notizia non dovrebbe stupire più di tanto; i selfie sono diventati un fenomeno di massa e spesso un’ossessione. L’ultimo “genio” è stato un turista nipponico di 66 anni che è precipitato dalle scale mentre scattava un selfie con alle spalle il Taj Mahl ad Agra, in India. L’articolo sostiene che negli ultimi 12 mesi le morti a causa di un selfie sono superiori a quelle dovute da un attacco di squalo, ma bisogna anche comprendere che l’articolo pubblicato è forse qualcosa che è più vicino al virale che alla notizia. Effettivamente i dati potrebbero essere corretti ma bisogna distinguere la differenza tra un attacco di squalo e la morte causata da un selfie.
Se la prima è una morte diretta, la seconda invece è dovuta a distrazioni, cioè ad un meccanismo intermedio. I selfie da soli non fanno male a nessuno, insomma, diversamente da quanto può essere pericoloso un attacco di uno squalo. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità, spiegando questa differenza,dice: prendiamo l’esempio di una donna che inciampa su qualcosa, sbatte la testa su tavolo e muore. Nessuno direbbe mai che la colpa della morte della donna è l’oggetto su cui è inciampata: quello è solo il “fattore scatenante”. Il fattore di morte diretta è stato colpire il tavolo con la testa, proprio come in molte “morti da selfie” il fattore diretto è essere investiti da una macchina, oppure cadere per terra o qualsiasi altra cosa.
Cosi come non si possono comparare le morti dovute ad un incidente domestico con quelle di attacchi. Naturalmente viviamo giornaliermente l’ambiente domestico invece non siamo cosi presenti in acqua durante la giornata. In pratica una morte dovuta da un selfie può servire soltanto da analisi statistica per le morti causate da incidenti causali.
A cura di Giovanni Paolo Iacomino