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1. Nello sfruttamento minerario dei mare, del fondo e del sottofondo, si possono identificare tre fasi storiche. La prima è quella tradizionale, l’unica possibile fino agli anni 1960, caratterizzata dall’estrazione di materie prime contenute nelle acque marine: il cloruro di sodio, il magnesio e il bromo.
La seconda fase è caratterizzata dall’estrazione sistematica, su scala industriale, di idrocarburi dal sottofondo dell’oceano: questo tipo di attività (offshore) prese avvio nella piattaforma continentale, dunque in siti profondi non più di 200 m; a inizio anni 1970 ci si è spinti fino a 450 m; a metà del decennio fino a 1000 m nello spazio marino thailandese; all’inizio degli anni 1980 si sono sfiorati 1500 m al largo di Terranova.
Fra le ricerche, singolare rilievo hanno assunto quelle sui noduli polimetallici che, con dimensioni di alcuni centimetri e disposti in strati di qualche metro di spessore, contengono almeno 5 metalli: manganese, rame, nichel, cobalto e molibdeno; coprono circa il 15% dei fondi oceanici del pianeta; si trovano in estese formazioni, soprattutto nei fondali compresi tra 4000 e 6000 m.
2. Il sottofondo oceanico fornisce fonti primarie di energia: carbone, idrocarburi liquidi e gassosi. Dal mare si può ricavare anche energia secondaria, in pratica energia elettrica, attraverso la conversione dell’energia cinetica e dell’energia termica contenute nella sua massa.
Le risorse biologiche del mare hanno assunto crescente importanza per l’alimentazione dell’umanità, a mano a mano che la popolazione mondiale ha manifestato elevati tassi di incremento; nello stesso tempo sono insorte esigenze di protezione di determinate specie e, in generale, si sono avvertite esigenze di razionalizzare lo sfruttamento dell’intero patrimonio biologico.