Ad Amalfi, lì dove si congiunge il mare e la terra, si nasconde una storia nata dalla passione e dall’impegno di piccoli artigiani che dai frutti della natura selvaggia creavano un prodotto di pregio apprezzato in tutto il mondo ed esportato nei tempi antichi come merce di scambio.
Stiamo parlando della carta di Amalfi, detta anche Charta Bambagina, che è un particolare e pregiato tipo di carta prodotto fin dal Medioevo. Se ne hanno notizie a partire dal XIII secolo sebbene pare che le cartiere della repubblica marinara fossero attive già in precedenza.
Proibita nel 1220 da Federico II per gli atti notarili in quanto meno duratura della carta pergamena, ha tuttavia continuato ad essere prodotta e utilizzata tanto che, nel XVIII secolo ancora una ventina di cartiere risultavano attive ad Amalfi e nelle vicine città. Fogli antichi di carta Amalfitana, a dispetto dei timori che ne comportarono il divieto d’uso, sono tuttora conservati e riportano documenti del ‘400.
La carta di Amalfi deve il suo secondo nome al particolare procedimento di produzione che, prescindendo dall’utilizzazione della cellulosa ricavata dal legno, parte da raccolte di cenci e stracci di lino, cotone e canapa di colore bianco.
Tali stoffe venivano in passato ridotte in poltiglia per mezzo di magli chiodati mossi da mulini a propulsione idraulica (ancora oggi visibili nella zona delle Ferriere),
La fibra, disciolta nell’acqua veniva e viene poi, a mano, trasformata in fogli per mezzo di telai formati da fili di ottone e bronzo, recanti per lo più in filigrana, gli stemmi delle antiche famiglie nobiliari della città.