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10 aprile 1991, 140 morti: la tragedia del Moby Prince

da Davide De Stefano
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 – a cura di Anna Cozzolino-
Il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo entrarono in collisione nella rada del porto di Livorno la sera del 10 aprile 1991. In seguito allo scontro si sviluppò un incendio che causò la morte delle 140 persone a bordo del Moby Prince tra equipaggio e passeggeri, unico superstite un giovane mozzo napoletano, Alessio Bertrand

Il 28 maggio 1998 la nave, posta sotto sequestro, affondò nelle acque del porto di Livorno mentre era ormeggiata alla banchina; fu poi recuperata e avviata alla demolizione in Turchia.
Alle ore 22:03 del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince, in servizio di linea tra Livorno e Olbia, mollò gli ormeggi per la traversata. A bordo era presente l’intero equipaggio, formato da 65 persone agli ordini del Comandante CSLC Ugo Chessa e 75 passeggeri. Il traghetto, durante la percorrenza del cono di uscita del porto, colpì con la prua la petroliera Agip Abruzzo, penetrando all’interno della cisterna numero 7, contenente circa 2700 tonnellate di petrolio. Alle ore 22:25, il marconista di bordo lanciò il Mayday dal VHF portatile, e non dalla postazione radio, dato che, come stabilito anche dal punto in cui fu ritrovato il cadavere, al momento dell’impatto non si trovava in sala radio: « Mayday Mayday Mayday, Moby Prince Moby Prince Moby Prince, Mayday Mayday Mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Mayday Mayday Mayday, Moby Prince, siamo in collisione ci serve aiuto! »
Parte del petrolio che fuoriuscì dalla cisterna della petroliera Agip Abruzzo si riversò in mare, parte invece investì in pieno la prua del traghetto. A causa delle scintille prodotte dallo sfregamento delle lamiere delle due navi al momento dell’impatto, il petrolio prese rapidamente fuoco, incendiando il traghetto. L’incendio sprigionatosi all’esterno della nave penetrò all’interno del traghetto a causa della rottura di due coperchi che separavano la coperta prodiera dal garage superiore.
Tuttavia l’incendio non si propagò subito a tutta la nave, in quanto il Moby Prince era provvisto di paratie tagliafuoco per impedire la propagazione delle fiamme. Si stima che le fiamme siano arrivate all’altezza del salone “De Lux” (dove sono state ritrovate gran parte delle 140 vittime) in un tempo sicuramente superiore alla mezz’ora. I soccorsi partirono in mare solo dopo le ripetute richieste di aiuto da parte dell’Agip Abruzzo. Il Moby Prince, con i motori ancora in funzione, percorse ancora alcune migliaia di metri, allontanandosi dal punto d’impatto e iniziando a girare in senso circolare, rendendo così  più difficoltosa la sua individuazione. Si appurò, in seguito, che l’equipaggio fece sistemare, in attesa dei soccorsi (attesi in brevissimo tempo, visto la vicinanza delle banchine del porto), gran parte dei passeggeri nel salone De Lux posto a prua della nave e dotato di pareti e porte tagliafuoco. Le fiamme provenivano appunto dalla parte anteriore della nave e, raggiunto il salone, lo “scavalcarono”, passando intorno e infiammando tutti gli arredi e le strutture circostanti al suo perimetro. In questo modo il salone De Lux si trovò esattamente al centro dell’incendio e, quando l’equipaggio si accorse del ritardo dei soccorsi, non fu più possibile evacuare le persone dall’uscita posteriore del salone, tanto meno da quella anteriore, già luogo di provenienza delle fiamme. Gli esami tossicologici rilevarono inoltre un elevatissimo tasso di monossido di carbonio nel sangue delle vittime, sintomo del fatto che in molti sopravvissero per ore (anche in stato di incoscienza) all’incendio, e non tutti quindi morirono a causa delle fiamme nel giro di pochi minuti dall’impatto.
Un aspetto più volte indicato come possibile causa dello scontro, fu quello dell’errore umano da parte dell’equipaggio del Moby: tutte le commissioni d’inchiesta e tutti i processi, fino all’ultima archiviazione disposta dalla Procura di Livorno nel 2010, censurano il comportamento della plancia del Traghetto, comandata da Ugo Chessa, defunto anch’egli nella tragedia. L’imprudenza del Comandante Chessa, secondo i giudici non ha certo determinato la tragedia nei suoi mortali sviluppi, tuttavia ha contribuito a non evitarla. È stato anche appurato, sempre in sede giudiziaria, che il traghetto Moby Prince navigava con gli impianti sprinkler non in funzione e con gli altri in attivazione manuale. Tra le cause ufficiali del disastro è attribuito un ruolo significativo anche alla nebbia che quella sera secondo alcuni gravava sulla zona.
Qualunque sia stata la causa si sa, per certo, che i soccorsi tardarono in maniera decisiva negli interventi di salvataggio dei passeggeri del Moby Prince, anche perché in un primo momento tutti i mezzi di soccorso partiti dal porto di Livorno si concentrano sull’Agip Abruzzo (che viene raggiunta intorno alle 23:00, e sul quale nessun membro dell’equipaggio perderà la vita), anche perché il Mayday del Moby Prince giunse via radio debolissimo e disturbato a causa di un improvviso calo di volume nelle comunicazioni tra Moby Prince e la Capitaneria di porto. Inoltre il comandante dell’Agip Abruzzo Renato Superina, in una comunicazione via radio ai soccorritori alle 22:36, fa riferimento ad un impatto con una bettolina (una imbarcazione molto più piccola usata prevalentemente nei porti) e non con un traghetto passeggeri, urlando ai soccorritori di recarsi con urgenza verso l’Agip Abruzzo..
I primi a raggiungere il Moby Prince verso le 23:35 sono due ormeggiatori su una piccola imbarcazione: Mauro Valli e Walter Mattei, i quali raccolsero anche l’unico superstite, il mozzo napoletano Alessio Bertrand. Si salvò rimanendo attaccato al parapetto della poppa, evitando l’incendio e lanciandosi poi in mare. Gli ormeggiatori chiesero il nome della nave direttamente al mozzo Bertrand; continuarono a seguire la nave nella speranza comunque che qualche altro superstite si lanciasse in mare. In seguito rimorchiatori e mezzi dei Vigili del Fuoco cercarono di raffreddare le lamiere del Moby con potenti getti d’acqua. Alle 3:30 circa un marinaio della ditta di rimorchio Fratelli Neri riuscì a salire sul traghetto per il tempo necessario ad agganciare un cavo di traino. È in assoluto il primo soccorritore a salire sulla nave dopo la tragedia. Dopo di lui, la nave verrà di nuovo visitata dai soccorritori soltanto a mattina inoltrata, una volta spento l’incendio.

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